lunedì 21 febbraio 2011

La quarta sponda

L'Italia ha un rapporto che definirei poco limpido con il suo passato. Da Tangentopoli, che ha lascia ancora oggi sul campo rivalità e tensioni che in un Paese davvero civile non avrebbero ragion d'essere, agli Anni di Piombo coi loro strascichi di Cesari Battisti e Delfi Zorzi in giro per il mondo, al dopoguerra delle lotte operaie e delle Stalingrado d'Italia, alla Costituzione che un sacco di Italiani influenti oggi vorrebbero modificare, alla Resistenza antifascista che alcuni non riconoscono e a cui oppongono i loro propri miti eroici e patriottici fatti di baschi e camicie nere, di Decime MAS, di Salò e Predappio e Faccette Nere, fino alla stessa Unità della Patria, che in questi giorni ha generato tante chiacchiere e ansie dubbi perplessità incertezze più simili a una notte al Neurodeliri che alla civile gestione della memoria.
Nel gran ballo degli equivoci che è la storia riscritta dai politici, stiamo assistendo oggi ad una delle puntate in assoluto più farsesche e ributtanti, con la partecipazione del nostro Paese alla vicenda delle rivolte popolari nel Maghreb, e in particolare in Libia. La maschera che siede al posto di Capo del Governo a Roma ha detto che non chiama il colonnello Ghaddafi "per non disturbare". Il suo maestro di sci di fiducia, occasionalmente seduto sulla poltrona della Farnesina, dice che occorre una transizione ordinata e pilotata dal Colonnello.
Di quello che chiede la gente di Libia - giustizia, democrazia, equità, la fine di un regime corrotto fino alle midolla - non interessa nulla a questi figuri, che con la Libia hanno fatto lauti affari, grassando insieme al Colonnello e alla sua corte dei miracoli il popolo libico.
Probabilmente è in un sussulto di autocoscienza e di coerenza che non dicono nulla: sanno benissimo che non sarebbero credibili se invocassero la giustizia proprio loro che hanno contribuito in maniera così determinante al suo esilio da quei Paesi, in nome, fondamentalmente, del dio Profitto, del denaro facile, dello sfruttamento. Il tutto, come questi personaggi non possono sapere, essendo ignoranti come dei sassi, sulla scia della occupazione coloniale e fascista di quel Paese, e della repressione di quei popoli.
Per forza che non intervengono: Gheddafi è come loro, loro sono come lui; ammettere che il libico se ne deve andare, significa ammettere che anche loro sono la spazzatura della Storia.
Peccato che in Italia non siamo in molti a voler fare i netturbini.

1 commento:

  1. Carissimo, stavo leggendo il tuo blog (finalmente ci sono arrivata anch'io). Della questione libica, così come di quella egiziana (...prima Mubarak, poi Gheddafi... che cominci a portar male essere citati da Mister B.??) e tunisina, e albanese, e del Bahrein, c'è di buono che, anche da noi, nonostante tutto, sta finalmente passando un'immagine diversa di queste regioni e della popolazione che le abita. In un colpo è stata spazzata via l'idea fasulla di un mondo arabo 'monolitico', sordo, involuto a favore di un insieme di genti coraggiose, piene di dignità e capaci di lasciarsi guidare da un sogno. Del resto, la civiltà nacque lì... che non abbiano questi popoli da insegnarci ancora qualcosa? Troppo bello sperare?? A presto

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