giovedì 10 marzo 2011

Quel casinista di Siddharta

Ieri sera, al mio corso di Storia comparata delle Religioni, ultima lezione sul buddhismo: lezione clou, con l'introduzione di categorie fondamentali come la coproduzione condizionata, l'impermanenza dell'essere, l'illusorietà del sé, il Nibbana. Materia complessa, me ne rendo conto, ma devo anche dire che la classe mi segue ormai da ottobre, è uscita temprata dal ciclo sullo hinduismo, ha i numeri per un buon lavoro. E capisce pure.
Ma non c'è nulla da fare: quando arrivi lì, la reazione è sempre quella: non riescono a crederci. Si scandalizzano. Qualcuno, addirittura, esce sdegnato.
E sì che li ho avvisati, ho fatto, da bravino, la mia lezioncina sulla centralità dell'io nella cultura occidentale, nella sua duplice matrice filosofica (Descartes, per dirne uno) e religiosa (il dio dei monoteismi biblici è personale, individuale - almeno fino a Teillard de Chardin). Ma non c'è avviso che tenga: quando parli del distaccamento dal sé, vanno in tilt. Come se gli avessi detto che devono farlo domani mattina, al posto del caffelatte.
Io credo che un po' sia anche colpa dell'ufficio PR del Dalai Lama. Con quella sua faccetta da monacello felice anche nella sciagura del suo popolo, induce la gente a pensare che essere buddhisti significhi essere sereni e in pace con sé stessi. In occidente il buddhismo è inteso come una via privilegiata alla serenità interiore, che passa attraverso qualche pratica antichissima che, per la sua evidente efficacia, deve essere in sé buona. Quando poi uno spiega quale è questo "in sé" della pratica buddhista, e quali sono le basi su cui poggia, e smonta l'illusione irenistica che si erano costruiti, si risentono.
Mi spiace, ma il buddhismo è una dottrina dura e complessa quanto il mistero della Trinità o quello della Incarnazione per i cristiani - o come il mistero dell'insondabile misericordia di Allah per il musulmano, o quello dell'infinita varietà delle manifestazioni di Vishnu per il vaisnava.
Non è che si può capire un altro mondo, se non si accetta di rinunciare a molte delle categorie che provengono dal proprio.

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