mercoledì 1 giugno 2011

Nihil est in intellectu quin prius fuerit in sensibus

Mario Borghezio, un parlamentare europeo (what da hell...) eletto nelle liste della Lega Lombarda (ach, so...) ha commentato l'arresto di Ratko Mladic dicendo che si tratta di un patriota che ha cercato di fermare l'avanzata islamica in Europa.
Non voglio commentare qui l'ennesima figura di sterco che personaggi come questo ci fanno fare in Europa.
So solo che quando ho letto questo articolo, mi è venuta in mente la municipalità di Derventa, nella Repubblica Serba di Bosnia, dove sono passato nella primavera del 1996, pochi mesi dopo la firma della pace di Dayton. Il territorio è ampio, la strada statale per Doboj lo attraversa per una quindicina di chilometri. Lungo tutto il percorso si succedevano case vuote, bruciate o bombardate o crivellate di colpi, una dietro l'altra, senza nessun segno di vita, in mezzo a campi incolti e aie abbandonate. Non so se le case erano di serbi, bruciate dai bosniaci, o viceversa (la campagna intorno a Derventa era a grande maggioranza Serba prima della guerra, quindi penso si trattasse di case di bosniaci costretti a levarsi di torno), ma la cosa mi interessa poco. Ricordo che ne ebbi una impressione terribile, la percezione chiara di essere arrivato in una zona di guerra, dove la normalità era impossibile, dove le dinamiche abituali del vivere - le case dove ci ripariamo, le strade che ci mettono in contatto - erano state sovvertite completamente, diventando bersagli da distruggere. Ricordo che percorsi quei chilometri in un silenzio assoluto, il fiato sospeso, le mani artigliate al volante della mia Peugeot 205, con la testa piena soltanto di una constatazione banale, quasi offensiva nella sua ovvietà: "Ecco, questa è la guerra".
Da allora ho avuto altre esperienze simili, ho vissuto in città poverissime abbarbicate sulle montagne del Triangolo d'Oro, in cui la corrente arriva prima in caserma e poi, solo se ne resta, alla gente; ho lavorato in una regione di guerriglia diffusa, dove ho incrociato i pick-up carichi di armati del Pa-O National Organization, in aree dove i bianchi normalmente non possono entrare; ho dovuto correre per scappare dai lacrimogeni e dai manganelli di polizia e carabinieri in assetto da guerra (è stato lì che ho capito cosa vuol davvero dire "antisommossa") che volevano gonfiarmi di mazzate.
Ma mai, mai che mi sia capitato di provare di nuovo quella sensazione di annientamento, di rinnegamento radicale dell'umano, che avevo provato a Derventa.
Fino a quel momento mi avevano insegnato che la guerra è un male, ed ero pronto a crederlo; ma da allora in avanti io so perfettamente anche perché la guerra è male.
Io non pretendo che un fascista come Borghezio comprenda questo mio punto di vista - in realtà non credo che quell'individuo possa capire molto, al di là dei bruti stimoli di autoconservazione che la paura genera in lui (certo, se gli fosse capitato per davvero di stare in una zona di guerra una volta nella vita senza la protezione di guardie del corpo o di un esercito o di una milizia paramilitare, forse un po' di schifo per quello che è successo in Bosnia l'avrebbe sentito anche lui...).
Penso però che valga la pena mettere in comune quel poco di esperienza che ho accumulato, perché qualcuno con un po' più di cervello, forse, potrà approfittarne, magari solo per non confondere mai più l'amore per la patria con la passione per la strage.

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