martedì 23 luglio 2013

F. GUNGUI - Inferno

Ovviamente, dovevo leggerlo. Non che qualcuno me lo abbia imposto, naturalmente. È stata una sorta di imperativo categorico, un ordine della coscienza, una necessità di coerenza. È un romanzo ispirato alla Commedia, ergo non posso evitare. In più, era sponsorizzato, via Twitter, da uno dei più bravi autori italiani viventi, e sono andato in fiducia. Ecco, diciamolo subito: stavolta Sandrone si sbaglia.
Diciamo che il libro non è brutto, ma semplicemente imbarazzante. E non per la scrittura, che si mantiene al di sopra della linea di galleggiamento (non molto, per la verità, ma almeno non siamo ai livelli aberranti della Meyer), ma per tutto il resto, a partire dalla struttura stessa della narrazione, che è evidentemente strutturata in tre parti (ma dai...) e che ricalca decisamente Hunger Games. Ci sono delle differenze, certo, ma i richiami sono molti di più: per una sana emulazione c'è ancora molta, molta strada da fare. La situazione di partenza è la stessa - la solita società futura ma no troppo in cui una élite di ricchissimi installata in insediamenti da sogno campa sulle spalle dei poveri lavoratori che sopravvivono in città degradate e baraccopoli. Se i poveracci hanno fortuna, possono finire a fare i lavoranti nel Paradiso dei ricconi: ed è così che i due protagonisti si conoscono, con relativi innamoramento interclasse e fuga rocambolesca e fallimentare che li precipita nella prigione chiamata Inferno, dove si incontrano e trovano una via di fuga. La protagonista femminile, che viene dal Paradiso, in questo percorso perderà tutte le sue certezze, cambierà profondamente fino a diventare una paladina dei poveracci in contrasto con il mondo da cui proviene e la sua stessa famiglia; il protagonista maschile scoprirà i misteri che allignano nel suo passato e che racchiudono la chiave per Salvare il Mondo. I personaggi sono un po' stereotipati, e la loro vicenda lo è anche di più, tanto che il tutto pare scritto come pedestre applicazione di un manuale di scrittura creativa che mescoli le voci "fantasy" e "bildungsroman". Il ritmo del racconto è discreto, ma moltissimi passaggi sono prevedibili come una predica a Natale, anche perché la psicologia dei personaggi è, alle volte, di una semplicità scandalosa (il massimo lo tocca quell'oca giuliva della madre della ragazzina). Il protagonista ha una sorella minore che lo adora (esattamente come in Hunger Games), una madre inquietante nel suo dolore, un padre defunto in circostanze che si riveleranno eroiche. Il ruolo devastante dei media che trasmettono le sofferenze dei dannati all'Inferno è lo stesso del network di Hunger Games, anche se qui viene risolto come una vera e propria religione organizzata dal potere - una nota originale, su cui valeva la pena di lavorare con più decisione: invece viene un po' buttata via, usando le chiese come semplice sfondo di alcuni passaggi.
Ovviamente è parte di una trilogia, di cui attendendo gli sviluppi (se non altro per vedere quanto, nei prossimi capitoli, si discosterà dal suo modello). Ma le prossime puntate non le comprerò subito: aspetterò che arrivino in Biblioteca.
Mi ricorda: S. Collins, Hunger Games; I. Asimov, Fondazione; Paul Glaser, L'Implacabile - The running man (1987).

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