martedì 27 agosto 2013

A. GIMÈNEZ-BARTLETT - Vita sentimentale di un camionista

Finita la rilettura del fantasmagorico Q di Luther Blisset (segue recensione, forse), mi sono riguardato tutta la libreria in salotto, e ho pescato, non senza qualche esitazione,  questo libretto (nell'edizione Sellerio del 2010). L'esitazione, in realtà, era data dal fatto che non so bene come sia arrivato sugli scaffali, visto che non riporta ex libris, né del sottoscritto né della mia signora. Comunque, dopo essermi convinto che probabilmente si trattava di uno di quegli acquisti un po' avventati, di cui poi si dimentica persino l'esistenza, l'ho aperto e iniziato.
Ma non l'ho finito, e non penso che lo farò mai, e per un motivo che mi è stato subito chiaro: l'incipit. L'autrice, invece di iniziare a raccontare la sua storia, apre con un pistolotto di tre pagine in cui spiega come le è venuta l'idea per il libro (e già qui... mah...), poi come ha fatto a costruire il protagonista (e perché mai dovrei desiderare saperlo? io voglio leggere quello che gli capita, non la sua scheda anagrafica!) e infine cosa voleva dire con il suo racconto (gulp! ri-gulp! ma stiamo scherzando?!?). Ecco, di fronte a questo dispiegamento di informazioni non richieste, mi sono risentito: neanche fossi un interdetto che non ha la minima idea di cosa sia un romanzo, di come vada affrontato, di cosa mi aspetta! Mi sono sentito trattato come un moccioso preso per la manina e introdotto in un palazzo bellissimo che non ha mai visto prima, ma che non viene lasciato libero di esplorare con i suoi ritmi e i suoi occhi e i suoi pregiudizi e le sue aspettative. E che diamine! Trovo che, da parte di un autore, sia un atteggiamento davvero poco rispettoso dei suoi lettori. Spiattellato così, nemmeno sotto la dicitura Introduzione, Avvertenza al Lettore, Prologo... niente: dopo il colofon, una bella pagina bianca con il titolo e poi via, le istruzioni per l'uso, sfacciate nonostante il carattere corsivo.
Certo, di romanzi con prefazione a proposito dei modi della composizione ne ho già letti: che so, quel tomo romanticissimo di un geniaccio lecchese che parla di un matrimonio che non s'ha da fare... o anche il poliziesco di quel piemontese che narra una oscura storia di assassinii in monastero, alla ricerca di un libro proibito. In questi casi, però, le dichiarazioni di intenti poetici sono già una narrazione: si mettono una maschera, si camuffano da manoscritto ritrovato, giocano di ironia con il lettore. Ecco, quello che mi ha offeso di più nell'inizio di questo romanzo è l'assoluta mancanza di ironia, il piglio saccente, il modo spocchioso di trattare il lettore.
Magari mi son perso un romanzo ben scritto, ma tanto la signora mi aveva già spiattellato tutto fin da prima dell'inizio.
Vade retro.

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