domenica 22 settembre 2013

N. Lilin - Educazione Siberiana

Non ho ancora finito di leggerlo, però manca poco, e adesso ho del tempo che probabilmente non avrò quando avrò chiuso l'ultima pagina, quindi anticipo la recensione.
Allora, lasciando da parte tutto il polverone che è stato fatto a proposito della verità o non verità delle cose narrate in questo libro (su cui avrei da dire la mia, certamente, ma ho bisogno di tempo per costruire un discorso che sia fatto bene e comprensibile anche ai non addetti ai lavori della critica strutturalista), devo dire che il romanzo mi è sembrato valido per alcuni aspetti, ma disastroso per altri.
Lilin è certamente capace di dipingere un quadro realistico della Transnistria, la sua terra di onesti criminali in guerra contro altre bande, gli sbirri, l'Unione Sovietica, il demonio e chi più ne ha più ne metta. I paesaggi urbani degradati, il freddo siberiano, le condizioni di povertà di questa gente emergono con nitidezza, ma più per la loro stessa potenza icastica che per l'abilità di Lilin nell'uso della lingua... in effetti, questo è il punto più debole del romanzo: la lingua è un po' troppo monocorde, su un registro basso che non sembra scelto appositamente per rendere il contesto sociale, ma solo per mancanza di competenza. Ne è una conferma il ritmo della scrittura, che spesso non riesce a tenere dietro alle fasi dell'azione, soprattutto se sono concitate: paradossalmente, va molto meglio nei momenti di riposo, di spensieratezza lungo il fiume, nelle chiacchiere con gli anziani, nella rigidità dei riti parareligiosi della criminalità siberiana. In questo caso Lilin è davvero "dentro" la narrazione, i tempi sono perfetti, le battute puntuali, di grande effetto. Ed è in queste situazioni di lentezza che emerge il vero punto forte del testo, l'incredibile capacità di saltare da una narrazione all'altra, la capacità di aprire parentesi dentro a parentesi dentro a parentesi del discorso principale senza perdere il filo, senza confondere il lettore, senza smarrirlo dentro un labirinto, senza presentargli personaggi a metà, che poi spariranno lasciando dei buchi nella storia. In questi casi il ritmo della scrittura è perfetto, trascinante nella sua lentezza come le acque del fiume su cui Kolima va a pesca con i suoi amici nei giorni della sua giovinezza.
Alla fine mi è piaciuto, ma l'avrei goduto di più se ci fosse stato un vero cambio di ritmo trale parti più "evocative" e quelle di azione.
Mi ha ricordato: Joseph Porta (uno dei protagonisti dei romanzi di Sven Hassel), per la straordinaria capacità di infilare un racconto dentro l'altro; Pétit Frère (alias l'Obergefreiter Wolfgang Ewald Creutzfeld, il degno compare di Porta) che mi sembra l'ispiratore di Mel; Derzu Uzala, il piccolo uomo delle grandi pianure; Ivan Danko; Depeche Mode, Personal Jesus.

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