venerdì 4 ottobre 2013

Il Mediterraneo, l'Africa, l'Europa, l'Italia

Non si potrà, temo, mai sapere a quanto ammonta per davvero il bilancio dei morti nell'ennesima strage di mare avvenuta ieri al largo di Lampedusa.
Ennesima, perché si è perso il conto di quanti poveracci siano morti in questi anni nel tentativo di sfuggire ad una vita devastata dalla povertà, dalla fame, dalla malattia, dalla persecuzione della dittatura politica o religiosa, dall'ignoranza, dalla schiavitù, dalla pura e semplice, nuda e cruda disperazione.
E il grido di dolore di Giusi Nicolini, sindaco di questo pezzo di terra italiana proiettata verso l'Africa, è il grido di chi ogni giorno è costretto dalla sua stessa posizione geografica a tenere un conto che nessun altro, né in Italia né in Europa, vuole tenere.
Un conto che è dovuto anche a ragioni storiche oggettive, che tanti, che oggi invocano misure più severe per l'immigrazione e che cinicamente si ribellano al lutto nazionale, non vogliono riconoscere, spesso perché ignorano completamente questa materia.
I regimi dittatoriali da cui questa gente scappa sono stati spesso foraggiati dai nostri governi democratici, che li hanno trattati come pezzi da gioco su di uno scacchiere dove abbiamo fatto le nostre mosse a nostro vantaggio, disinteressandoci completamente di quello che poi succedeva entro i confini di quelle pedine.
Quella ricchezza che, secondo molti, i migranti sognano di rubarci venendo qui, in effetti, ha buona parte delle sue radici nei loro Paesi, che le nostre aziende, siano o meno multinazionali, hanno saccheggiato e saccheggiano impunemente grazie alla connivenza con i regimi di cui sopra.
Gli armamenti con cui si combattono le migliaia di guerre grandi e piccole nei territori da cui questa gente scappa sono prodotti in Europa e negli Stati Uniti e in Russia, e sono venduti ai loro legittimi governi dai nostri legittimi, e ai loro terroristi dai nostri trafficanti criminali.
Le droghe di derivazione naturale e sempre più spesso anche sintetiche, prodotte in questi Paesi e poi vendute per finanziare le guerre interne da cui scappano i dannati che muoiono poco al largo delle nostre coste, sono consumate nelle notti di divertimento delle nostre discoteche, dei nostri club, dei nostri rave party.
Le donne che vengono rese schiave nei villaggi africani e poi sono portate qui a prostituirsi, i travestiti che emigrano in Italia illegalmente e battono i viali, le ragazze dell'Est europeo o del Sudest asiatico che si spogliano nei club, hanno clienti europei  che sono, temo, ben più numerosi dei loro connazionali.
La nostra civiltà è corresponsabile di questo movimento migratorio.
La nostra civiltà non dovrebbe lasciare Giusi Nicolini e i Lampedusani soli a tenere questo conto.
La nostra sarebbe civiltà se ci decidessimo a costruire una risposta vera di pace e progresso per tutti intorno a questo mare, invece che salvare banche che ci succhiano la vita e giustificare con le scuse più biecamente razziste la nostra inesistente superiorità.

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