venerdì 15 febbraio 2013

S. SARDUY - Barroco

Ecco, di primo acchito mi verrebbe da scrivere, molto semplicemente: non si capisce un cazzo.
Ma in realtà non è vero.
È vero che si tratta di un testo difficilissimo, ma a starci sopra un mesetto (tra i più e il meno), a sbattere la testa nel muro, a rompere le palle agli amici psicologi (a proposito delle categorie che Sarduy invola a man bassa dalla produzione di Lacan), a schematizzare e prendere appunti, a ritornare daccapo tre volte per ogni paragrafo, qualcosa ci ho capito. Davvero.
Le difficoltà del testo sono di vari livelli: da quello contenutistico a quello metodologico a quello linguistico a quello strutturale.
Il contenuto è complesso di per sé: l'estetica del Barocco non è delle più semplici - a meno di non volerla liquidare rapidamente come kitsch della peggior specie. Ma se la si prende con i dovuti modi, è materia ricchissima di spunti, di approfondimenti, di fascinazioni, di infinite lateralità che si diramano in labirinti di intersezioni tra pittura scultura urbanistica architettura poesia musica romanzo. E Sarduy è un pozzo di scienza, da questo punto di vista: un furetto della conoscenza che salta da un'arte all'altra in velocità e con estrema sicurezza. Il che rende difficile anche il suo metodo: parte dal cerchio come paradigma platonico (e quindi orfico-pitagorico) del Cosmo, passa a Galilei Copernico e Keplero toccando, a titolo di esempio, l'urbanistica rinascimentale il Caravaggio Borromini Velazquez e Gongora, ma, ed è quasi incredibile, senza tirare niente e nessuno per i capelli.
Il tutto in una lingua da avanguardia anni Sessanta (Sarduy collaborò intensamente con molte riviste di quel genere, tra cui Tel Quel) e dunque piena di espressioni idiomatiche di quel contesto culturale, iper-specifica, debitrice al lessico della psicanalisi di Lacan, della linguistica della Kristeva, della filosofia di Michel Foucault e di Derrida, e in generale a tutto il mondo espressivo della rivoluzione culturale di quegli anni, che oggi risulta distante, enigmatico, fin farraginoso. Certo, la struttura non aiuta: accanto all'articolo principale sul Barocco sono raccolti nel libro una serie di altri interventi, presi proprio da Tel Quel, che hanno certo a che fare con il tema, ma lo sviluppano in modo poco organico al resto del testo - o, forse, poco interessante per me: sinceramente potrebbe anche essere che non sono stato in grado di cogliere tutti i nessi.
Comunque, la parte su Gongora e la metafora in relazione all'estetica del Barocco e alla cosmologia basata sull'ellisse introdotta da Keplero è geniale.
Grazie, Severo!

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