Stavolta, invece, Camilleri torna in forma: forse non è un capolavoro, ma è di certo di un'altra pasta! Almeno il Montalbano la smette di fare il semprerfidelis, che manco fosse un brigadiere dell'Arma, e poi si dibatte in un finto senso di colpa tipicamente cattoitaliano, per finire con il non sapere più bene da che parte stare. Che alla fine, a me Livia sta pure 'ntipatica, ma qui esce trionfatrice sul suo eterno fidanzato un po' stronzo. Bene.
E l'intreccio polizottardo? Bene anche quello: stavolta non ho capito chi era l'assassino al capitolo 5, ma verso il 12 o il 13 - insomma, quasi alla fine, e la minestra non era per niente allungata per arrivare fino a lì. Bravo Camilleri, anche se devo ammettere che da quando ho scoperto la sua vena non-montalbana le cose migliori le leggo lì. E "La presa di Macallè" resta un capolavoro inarrivabile.
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